Osservazioni
Si tratta della forma di balsamario più documentata all'interno della collezione museale (78 pezzi su un totale di circa 220), il tipo, con alcune varianti morfologiche, è del resto il più diffuso in tutte le regioni dell'impero romano nel corso del I secolo d.C., con un periodo di massima diffusione in età flavia. Generalmente è realizzato in vetro verdeazzurro di medio spessore, particolarmente spesso sul fondo, talvolta malamente depurato e con difetti di lavorazione (nel caso in esame si nota la presenza di bollicine e di qualche impurità): caratteristiche che fanno pensare a una produzione di routine, frettolosa e trascurata. Pur essendo nota la provenienza dell'esemplare in esame, resta ignoto il contesto di rinvenimento. Si precisa, però, come la maggior parte degli altri pezzi esposti provenga da contesti tombali, a conferma del loro importante impiego come contenitori per balsami e profumi nel rituale funerario (anche se essi venivano solitamente utilizzati quali contenitori di olii e unguenti per la preparazione ad esercizi sportivi).
Il numero dei ritrovamenti dalle necropoli patavine e l'omogeneità della tecnica di produzione, compresi colore e dimensioni, inducono a ipotizzare l'esistenza di una manifattura locale, considerate anche l'importanza del centro di Padova in età romana e la qualità scadente di un numero così elevato di pezzi, che non giustificherebbe la loro importazione da altre regioni lontane.
Per quanto riguarda la datazione del balsamario in esame, il notevole allungamento del collo con conseguente riduzione della capienza del ventre è una caratteristica ricondicibile alla variante 8/28 del Taborelli, che segna il passaggio da una forma tubolare di fine I secolo d.C. a un'altra con corpo troncoconico.